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COMUNICATO STAMPA

 

 

Mariantonia Avati presenta il suo film al Cinema Caporali

 

Con Mariantonia Avati, figlia di Pupi, iniziano gli appuntamenti con gli autori del cinema italiano previsti periodicamente al Cinema Cesare Caporali di Castiglione del Lago.

Mariantonia, figlia d'arte, pur vantando un curriculum corposo per la sua attività cinematografica, da segreteria di edizione ad aiuto regista per molti registi affermati, da sceneggiatrice  a produttrice, con "Per non dimenticarti" è, di fatto, al suo primo lungometraggio cinematografico.

 

Il film, sceneggiato con il fratello Tommaso, recconta...(segue scheda filmografica)

 

PER NON DIMENTICARTI di Mariantonia Avati

 

Cast: Anita Caprioli, Patrizio Pelizzi, Massimo Bonetti, Luca Biagini, Manuela Morabito, Monica Cervini, Alessandra Costanzo, Valeria

 

Genere: Drammatico

 

Anno: 2006

 

Durata: 94'

 

Trama:

 

Roma. Inizio anno 1947. La seconda guerra mondiale è appena finita e, fra le macerie di una città, lascia ancora i suoi segni. Nel reparto di maternità di un ospedale si intrecciano storie di nove donne che stanno per partorire. Nina, la protagonista, viene ricoverata all'ottavo mese per delle complicazioni e nel reparto troverà il supporto e la solidarietà delle altre donne.

Esordio alla regia di Maria Antonia Avati, primogenita di Pupi Avati, con l'aiuto del fratello Tommaso, che del film ha scritto soggetto e sceneggiatura. Un film tutto al femminile, come ancora di rado accade nel cinema italiano, sia nei contenuti che nello sguardo, nella prospettiva e nel punto di vista, nell'urgenza di raccontare sensibilità ed emozioni femminili. Per stessa ammissione della regista non ci sono nel film i virtuosismi del padre con la macchina da presa ma l'attenzione registica è quasi tutta esclusivamente puntata sulla recitazione: e anche se il cast, tutto di giovani nuove talentuose leve italiane, è davvero ottimo, l'eccessivo uso di primi piani, la costante perfetta messa a fuoco, il girato quasi esclusivamente in interni conferisce al film un sapore di fiction televisiva. Storie di amori, di sacrifici, di terribili dolori come spunto e stimolo per andare avanti, per ricostruire la vita e ricominciare a sorridere: dal sapore eccessivamente cattolico e buonista, e con dialoghi spesso retorici e lacrimevoli (che non di rado fanno davvero pensare alla contemporanea tv del dolore), il film, pur avendo in sé un buon potenziale, rimane ancorato a determinati clichè stilistici e contenutistici, che lo limitano e lo impantanano in un ginepraio di luoghi comuni.

 

Recensione:

 

Sognano il jazz e invece fanno film. In casa Avati è una storia che si ripete, di padre in figlia. Pupi in Ma quando arrivano le ragazze? ha raccontato la sua carriera fallita di clarinettista, schiacciato dal talento dell’amico Lucio Dalla. Ora la primogenita Maria Antonia, che voleva fare la cantante jazz, debutta come regista con Per non dimenticai-ti, nelle sale in autunno. Lei però tiene subito a distinguersi dal padre. E, tanto per cominciare, rinnega la somiglianza fisica. «In realtà, ho preso da mamma», spiega, con la stessa voce sonora e perentoria di Pupi, fissandoti con gli stessi occhi allungati.

«Nel mio film ci sono dieci donne prossime al parto nella maternità di un ospedale romano» racconta. «L’anno è il 1946». La protagonista èAnita Caprioli, una giovane moglie ricoverata per complicazioni all’ottavo mese. «Parto dalla esperienza personale» dice ancora Maria Antonia Avati. «Mio figlio Lorenzo, che oggi ha cinque anni, è nato prematuro. E io ho vissuto per un po’ in corsia al Gemelli. Ne ho parlato con mio fratello Tommaso, che ha scritto la sceneggiatura». Da papà invece, nessun aiuto? «No, era troppo indaffarato a girare il suo film. È venuto un paio di volte sul set, e si è commosso vedendo me e Tommaso insieme».

Dei resto, Maria Antonia dai punto di vista registico dice di non ispirarsi al padre. «Non vi aspettate i suoi virtuosismi di macchina, le sue ricostruzione d’ambiente. Io punto sulla recitazione, sulle facce». Ora sta lavorando al montaggio, nel casale di famiglia a Todi: «Spero che il film sia all’altezza, sarò severa nel giudicarmi» assicura. «E deciderò se andare avanti».

Per ora la strada non sembra essere stata troppo difficile. Per esempio Per non dimenticarti è stato l’ultimo film ad avere i finanziamenti statali. Però, a giudicare dai precedenti, questo potrebbe davvero essere il primo e ultimo film della regista, capace di autocensure durissime. Dopo aver trascorso l’adolescenza studiando canto jazz, ha infatti lasciato tutto, quando ha capito che le mancavano i numeri della fuoriclasse. Nessuno, a parte la sua insegnante, l’ha mai sentita cantare. Quella del tutto o niente sembra essere una filosofia di famiglia. «Ma no, è normale» replica lei «se non sei il massimo, meglio rinunciare. Ognuno deve trovare la sua strada: mio fratello Alvise è appassionato di animazione tridimensionale, ha messo i suoi lavori su Internet e l’ha chiamato Peter Jackson. Ora lavora al remake di King Kong».

Maria Antonia per trovare la sua strada ci ha messo un po’. Diplomata dirigente di comunità, il volontariato è stata una delle sue passioni, dopo il canto jazz, il violoncello e la scherma: «Stavo per partire per la Tanzania, e invece mi sono sposata», racconta. Al set era già arrivata a 18 anni. «il mio fidanzato mi lasciò. Ero distrutta. Mio padre, preoccupato, mi portò al lavoro con lui. Nell’89, con Storia di ragazzi e ragazze, sono diventata sua assistente».

Da sola, ha girato documentari per Sat 2000, II canale tv della Conferenza Episcopale (di cui Pupi Avati è potente consulente artistico). Con il marito, produttore di programmi proprio per Sat 2000, ha aperto una piccola società. «Ma non è facile conciliare tutti gli impegni con il ruolo di madre» dice. «Per fortuna ho l’aiuto dei miei: Pupi è un nonno meraviglioso e Lorenzo lo gratifica ascoltando con gioia i suoi racconti. Mio figlio studia il clarinetto, come il nonno, da quando aveva due anni. Chissà che non sia lui l’orecchio assoluto, il talento jazz della famiglia Avati. Il nonno ci spera».

Da Il Venerdì di Repubblica, 8 luglio 2005

 

 

 

 


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